Inchiesta Covid, il pressing di Rezza su Conte per la zona rossa: “Il premier non era convinto”

Covid - Foto di Ansa Foto
Covid – Foto di Ansa Foto

Dall’inchiesta Covid emergono nuovi dettagli sui primi giorni della pandemia, in particolare sulla mancata zona rossa che probabilmente avrebbe potuto rallentare la diffusione della pandemia.

La mia fissazione restava la necessità di una zona rossa a Nembro e Alzano“. Così Giovanni Rezza, direttore Prevenzione del Ministero della Salute ed ex direttore Malattie infettive dell’Iss, ricordando la riunione del Comitato tecnico scientifico del 6 marzo 2020 durante la quale aveva partecipato “in qualità di sostituto del professor Brusaferro” e aveva fatto presente le sue preoccupazioni.

Al termine di questa riunione, racconta, aveva “l’idea che ci fosse indecisione”. E spiega: “Mi sembrava che il presidente del Consiglio non fosse convinto” ha raccontato ai pm il 18 giugno 2020 come teste nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata zona rossa in Val Seriana.

Ricordo di aver verificato che Alzano e Nembro non erano molto distanti da Bergamo ed ho ritenuto che fosse necessario separare questi due comuni da Bergamo per evitare il contagio della città”. La zona rossa in Lombardia venne istituita l’8 marzo, ma Rezza sostiene di aver suggerito alla Regione e al governo di istituirla prima, insieme con il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro.

Inchiesta Covid, Rezza: “Speranza preoccupato fin dai tempi di Wuhan”

Rezza spiega di aver trovato favorevole il ministro Speranza e il governatore Fontana. Il primo era “preoccupato fin dai tempi di Wuhan”. Sull’allora premier Giuseppe Conte invece, racconta: “Il presidente del Consiglio mi sembrava assai dubbioso; ho avuto l’impressione che volesse elevare il livello del controllo all’intera regione”. Ed aggiunge: “Mi sembrava titubante in relazione all’impegno di forze dell’ordine per delimitare il cordone sanitario”, anche per “la necessità di non distogliere le medesime forze da altre attività di rilievo come quella di lotta al terrorismo, per esempio”. 

L’epidemiologo racconta di aver visto una mappa del contagioai primi di marzo” che evidenziava un’alta diffusione del virus a Nembro e Alzano. “Ricordo di aver verificato che Alzano e Nembro non erano molto distanti da Bergamo ed ho ritenuto che fosse necessario superare questi due comuni da Bergamo per evitare il contagio della città”. Rezza informò il Cts della sua opinione il 3 marzo e ne discusse con Brusaferro uno o due giorni dopo. “Se il virus avesse sfondato in una grande città l’epidemia non sarebbe stata più contenibile”, spiega, aggiungendo anche: “Devo dire che anche l’istituzione di una zona rossa non avrebbe inequivocabilmente salvato la città di Bergamo (…) il lockdown che poi è stato deciso ha avuto una importante efficacia per il contenimento del virus”. 

La versione di Giuseppe Ruocco

La versione di Rezza trova l’appoggio di Giuseppe Ruocco, allora segretario generale del Ministero della Salute. Anche lui è stato sentito dai pm come teste. Secondo lui il Cts sarebbe stato informato della necessità di istituire la zona rossa in Val Seriana prima della riunione del 3 marzo, anche se in maniera informale. “Credo che l’1 o il 2 marzo 2020, il dott. Locatelli, unitemente al prof. Brusaferro, già avevano anticipato la situazione epidemiologica di Alzano Lombardo e Nembro, a margine delle riunioni del Cts di quei giorni”, si legge nella testimonianza riportata da Open online.

Locatelli evidenziava in particolare l’esigenza di attenzionare la zona di Brgamo per il numero dei casi significativo che si stava registrando nei comuni vicini”. Rispetto ad altri, la versione di Ruocco presenza un’incongruenza. L’ex segretario alla Salute, nel verbale indica nell’1 o 2 marzo la data in cui il Cts e i tecnici di Roma dovevano riferire ai politici sulla situazione del Bergamasco per istituire eventualmente la zona rossa. E inoltre, Ruocco esclude che “questa riflessione di Locatelli sia stata formulata alla presenza del ministro Speranza e/o del presidente Conte di fronte a me”. 

Inchiesta Covid, Fontana: “Dovevamo intervenire prima”

Mi sono stupito che dopo l’arrivo dei soldati e carabinieri non si è più fatta la zona rossa”. Così il presidente Attilio Fontana ai pm, nel verbale del 29 maggio 2020. Parlando della Val Seriana, il governatore della Lombardia ha dichiarato di essere “convinto che quando siamo intervenuti il virus ormai era diffuso; noi dovevamo intervenire prima. Credevamo nella realizzazione della zona rossa. La nostra non era una scelta politica ma tecnica”. 

Lamorgese: “Mandai i militari e Conte non lo sapeva”

Sentita dai pm il 12 giugno 2020, l’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, ha dichiarato che il “contingente programmato è arrivato a Nembro e Alzano il 6 marzo la sera, iniziando l’attività ricognitiva”. “Sia per le forze di polizia sia per le forze armate, la disposizione è partita dal Ministero dell’Interno, ma il presidente Conte non sapeva dell’invio delle forze armate e di polizia” in Val Seriana, “proprio perché in quel periodo il fine era di natura preventiva e ricognitiva, e ove ci fosse stato un Dpcm di “cinturazione”, avrei informato il presidente dell’invio di uomini”.