L’Istat ha diffuso i dati nell’ambito della 15esima edizione della Conferenza di Statistica con l’evento “Misurare la povertà educativa”.
Si tratta di un fenomeno multidimensionale frutto del contesto familiare, economico e sociale in cui i minori vivono. La statistica è stata realizzata attraverso un esercizio preliminare di valutazione dell’esposizione dei giovani di 0-19 anni al rischio di povertà educativa.
Per un bambino o un adolescente essere in povertà educativa significa trovarsi in una condizione caratterizzata da una carenza di risorse educative e culturali della comunità di riferimento intesa in senso lato (famiglia, scuola, luoghi di apprendimento e aggregazione, ecc.). E poi non avere acquisito le competenze cognitive e non cognitive (sociali ed emotive) necessarie per crescere e sviluppare le relazioni con gli altri e per sentirsi parte di una comunità.
La carenza di risorse educative e di difficoltà negli esiti scolastici più accentuata della media in tutte le tipologie di Comune di Sicilia, Puglia e Campania e in molte zone rurali del centro e del nord (Lazio, Liguria, Emilia-Romagna). Carenza di risorse ma esiti scolastici migliori della media si osservano in molte aree rurali del Paese, nelle città del Lazio, della Calabria e della Puglia e nei Sobborghi della Lombardia.
Una situazione meno compromessa rispetto alla media nazionale sia per risorse sia per gli esiti riguarda la maggior parte delle città del centro-nord (fanno eccezione quelle di Piemonte, Liguria e Toscana per gli esiti e le città del Lazio per le risorse) e, nel Mezzogiorno, le città di Abruzzo, Basilicata e Molise. Dotazione relativamente vantaggiosa di risorse ma esiti scolastici peggiori della media caratterizzano le città del Piemonte, della Liguria e della Toscana e città e sobborghi urbani della Sardegna.
I primi risultati permettono una mappatura del territorio italiano a livello comunale, che consente di evidenziare moltissime differenze territoriali, per esempio fra i Comuni delle aree urbane e non. Ci sono zone del meridione sopra la media nazionale e zone in Lombardia e Veneto sotto la media sia per risorse disponibili che per esiti individuali.
“La prima scelta che abbiamo fatto è stata quella di affrontare la povertà educativa individuando due dimensioni. Quella relativa alle risorse, che sono quelle economiche ma anche quelle messe a disposizione dal territorio e dalla comunità educante, e quella relativa agli esiti. – ha spiegato Monica Pratesi, direttrice del dipartimento per la produzione statistica – Altro aspetto importante è che la misurazione della povertà educativa non può coincidere solo con la dimensione scolastica e cognitiva, occorre considerare anche gli aspetti relativi all’educazione informale e a quella non formale”.
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