Politically correct nella lingua italiana: l’Accademia della Crusca dice no a schwa e asterischi

La Crusca ha deciso che anche nella scrittura degli atti giudiziari si potranno usare termini al femminile (la giudice es.) ma ha escluso, almeno nel linguaggio giuridico, "l'uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato". 

Schwa e asterischi - Foto di iNews24
Schwa e asterischi – Foto di iNews24

Le moderne neuroscienze hanno messo in discussione il fatto che la lingua costituisca di per sé un condizionamento e un filtro rispetto alla percezione dei dati empirici reali”. Con queste parole l’Accademia della Crusca spiega il suo no a schwa e asterischi, che negli ultimi anni vengono spesso usati per richiamare l’inclusione di genere nella lingua italiana.

Interpellata dal Comitato pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari che rispetti la parità di genere, l’Accademia della Crusca ha risposto ai sostenitori della tesi che l’eliminazione della distinzione tra maschile e femminile porrebbe fine alla “ingiustizia storica” e direbbe addio alla logica patriarcale.

“Non sopravvalutare i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere”

Una simile concezione della lingua non è universalmente condivisa, e anzi c’è chi vede il pericolo di un eccesso di intervento”, ha aggiunto la Crusca. “I principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata alle mode culturali. D’altra parte queste mode hanno un’innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata”. 

L’Accademia ha detto no a Schwa e asterischi al posto del genere maschile e femminile, ma anche all’articolo davanti al nome (La Meloni es.) e alle reduplicazioni retoriche (i cittadini e le cittadine es.). Sì invece, al plurale maschile non marcato, “inclusivo” e ai nomi di professione al femminile (magistrata, pubblica ministero ecc).

Dopo una discussione, la Crusca ha deciso che anche nella scrittura degli atti giudiziari si potranno usare termini al femminile (la giudice es.) ma ha escluso, almeno nel linguaggio giuridico, “l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato”. 

Ma qual è la soluzione per includere tutti i generi?

In una lingua che come l’italiano possiede due generi, maschile e femminile, secondo la Crusca, “lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti”, non è “la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi”. La soluzione è “l’utilizzo di forme neutre o generiche (per esempio sostituendo “persona” a “uomo”, o “il personale” a “i dipendenti”), oppure si può ricorrere al maschile plurale non marcato (per esempio: “tutti pronti?”, “sono arrivati tutti”), purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”. 

L’articolo davanti ai nomi propri

Infine, l’Accademia della Crusca dice la sua anche sull’uso degli articoli davanti a nomi propri: “Oggi è considerato discriminatorio e offensivo. Non entriamo nelle ragioni di questa opinione, che riteniamo scarsamente fondata. Tuttavia, per quanto estemporanea e priva di motivazioni infondate, l’opinione si è diffusa nel sentimento comune, per cui il linguaggio pubblico ne deve tener conto”.