Intercettazioni, prof Villone a iNews24: “Nessuno vuole toglierle per i reati di mafia, ma intendiamoci su quali siano i reati minori”

Massimo Villone - Foto di Ansa Foto
Massimo Villone – Foto di Ansa Foto

Ai microfoni di iNews24, Massimo Villone, costituzionalista, professore emerito di Diritto Costituzionale dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e senatore dell’area di centrosinistra dal 1994 al 2008, sulle intercettazioni telefoniche, strumento fondamentale per le indagini che riguardano la mafia.

Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro è tornato attuale il tema delle intercettazioni telefoniche, strumento fondamentale per questo tipo di indagini. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che sono indispensabili nella lotta alla mafia e al terrorismo, ma va cambiato “l’abuso che se ne fa per i reati minori”. È d’accordo?
Intanto bisogna intendersi su quali siano i reati minori. Se ho capito bene per Nordio sono quelli contro la Pubblica Amministrazione. A me pare che questo sia il vero obiettivo del discorso, perché non mi risultano intercettazioni per i furti di galline. Invece per i reati che hanno a che fare con la corruzione e l’amministrazione di denaro pubblico, le intercettazioni sono necessità assoluta, perché vedono il doppio interesse del corruttore e del corrotto a tacere. Non si tratta quindi, di reati che è facile scoprire attraverso le investigazioni. Nessuno ha mai pensato di togliere le intercettazioni per i reati di mafia, ma bisogna capire quali siano i reati minori”;

Ancora una volta torna il tema delle intercettazioni e la stampa, in particolare sulla diffusione di segreti individuali e che non hanno a che fare con le indagini.
Bisogna capire chi passa le notizie alla stampa. Si tende a dire che sono i magistrati che vogliono farsi pubblicità. In realtà si tratta di notizie che stanno nelle mani di molte persone, inclusi i difensori degli indagati. Non è affatto detto che la notizia arrivi alla stampa uscendo dalle stanze dei magistrati. Anzi, è molto probabile che il percorso sia un altro. Quindi anche in questo caso c’è un equivoco di fondo. Il rischio è mettere un coperchio tombale sulla notizia, e in questo modo non si fa una cosa utile per l’informazione. Capisco che debba esserci riservatezza da parte del magistrato, ma se la notizia esce, è bene che venga pubblicata”;

Non è già implicito, ad esempio, pubblicare solo informazioni sulle indagini e non diffondere nomi di persone non indagate?
Se parliamo di fatti e persone che non hanno a che vedere con le indagini, siamo d’accordo. Ma che non si parli di persone in termini assoluti, no. Se la notizia è di interesse pubblico e per esempio riguarda un amministratore pubblico, c’è un interesse collettivo alla conoscenza. Se riguarda la sua vita privata, non c’è una rilevanza pubblica. Anche qui bisogna distinguere e non si può fare di tutta l’erba un fascio: se c’è un interesse pubblico, in democrazia il criterio è che la stampa se ne occupi”;

Tornando a Matteo Messina Denaro, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che non ha intenzione di cambiare l’ergastolo ostativo.
C’è una sentenza della Corte Costituzionale da considerare, con la quale bisognerebbe fare i conti. L’orientamento sembra privilegiare il profilo della necessità che la pena sia in qualche modo volta al recupero del condannato. In questo senso, la pena ostativa che non finisce mai non può conciliare con questo obiettivo costituzionalmente sancito. E questa è un’obiezione che fa la Corte Costituzionale. Non so come Meloni voglia fare i conti con questa affermazione, o se semplicemente non voglia tenerne conto. Io cercherei di capire se c’è un modo per rendere compatibile la certezza della pena e la sua durata con i principi costituzionali”;

Come si fa?
Non è semplice. Si stanno creando le tifoserie tra chi ha fede nella pena infinita e chi nella pena finita in quanto rieducativa. Il punto difficile è applicare il principio della rieducazione laddove viene esplicitamente negato il pentimento. Lo snodo problematico è: dove sta la capacità di recupero che dovrebbe essere garantita, quando un condannato non dà cenno di pentimento?”.