Oggi, 1 dicembre, è la Giornata mondiale contro l’Aids, Lila: “Quello italiano non è un quadro sereno”

“La pandemia ha parzialmente cambiato alcuni comportamenti sociali riducendo le occasioni di fare sesso, dunque, anche la necessità di analizzare i rischi corsi o di eseguire il test".

Cura Aids
Archivio (Foto: Getty)

Oggi, primo dicembre, si celebra la Giornata Mondiale contro l’Aids. Quest’anno cadono i quarant’anni dai primi casi segnalati di questa malattia nota anche come Sindrome da immunodeficienza acquisita, causata dal virus, l’HIV, che attacca il sistema immunitario e lo indebolisce. 

LEGGI ANCHE: Livorno, incendio alla raffineria Eni, la Protezione civile ai cittadini: “Tenete le finestre chiuse”

In quarant’anni la scienza ha compiuto molti passi in avanti nella ricerca di terapie antiretrovirali che hanno fatto in modo che l’Aids non fosse più una malattia mortale, ma cronica. Tuttavia non è un quadro sereno quello che emerge dal LilaReport2021 (Lega italiana per la lotta contro l’Aids) sullo stato dell’HIV/AIDS in Italia. Su novemila contatti esaminati quest’anno tra Helpline servizi di testi, attività di prevenzione nelle scuole e nelle Università, servizi solidali, LILAchat, emerge una conoscenza di base delle vie di trasmissione e del virus “piuttosto confusa, una percezione del rischio errata, talvolta distorta, il permanere di stigma e discriminazioni nei confronti delle persone con HIV”, si legge in un comunicato diffuso da Lila. 

“Criticità non del tutto superate sui servizi di trattamento e screening”

L’impatto della pandemia da Covid sui servizi di trattamento e screening per l’HIV/AIDS si è attenuato, ma le criticità non sono state del tutto superate: “Oltre il 10% di persone ci segnala ancora problemi. Restano troppo bassi il ricorso al test e l’utilizzo del profilattico. Tra chi si è rivolto ai nostri servizi di testing nel 2021, oltre la metà ha dichiarato di non aver usato il profilattico nell’ultimo rapporto sessuale e quasi il 37% non aveva mai fatto prima un test per l’HIV”. 

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE: Alto Adige in zona gialla da lunedì, Zaia lancia l’allarme: “Veneto non subito, ma la prossima settimana sì”

Rispetto al periodo prima del Covid, il numero di contatti e interazioni dirette con Lila è stato “lievemente più basso rispetto all’era pre-Covid (circa 10mila nel 2019) , un calo dovuto all’impossibilità, in alcuni periodi, di esercitare attività esterne in presenza, di mantenere aperte le sedi o, per gli utenti, di raggiungerle”, si legge nel report.

La pandemia inoltre, ha parzialmente cambiato alcuni comportamenti sociali riducendo le occasioni di fare sesso, dunque, anche la necessità di analizzare i rischi corsi o di eseguire il test. È possibile infine, che il Covid abbia catalizzato e dirottato altrove le paure che, da sempre, caratterizzano molte delle richieste di aiuto che arrivano alle nostre sedi”.