
Si chiama B.1.1.529 la nuova mutazione del virus recentemente individuata dagli scienziati e ribattezzata comunemente con la lettera greca “omicron”. Questa ennesima variazione del virus Sars Cov 2 raccoglierebbe ben 32 mutazioni nella proteina spike, alcune di esse sconosciute fino ad ora. Tra le caratteristiche rilevate ci sarebbe un’elevata trasmissibilità, una maggiore resistenza agli anticorpi del vaccino e ad alcune terapie farmacologiche
I primi casi rilevati sono stati registrati nella seconda metà di novembre in Botswana e Hong Kong, dove il virus mutato sarebbe arrivato tramite un viaggiatore proveniente dal Sudafrica e pochi giorni dopo, il 22 novembre, altri contagi sarebbero stati individuati proprio nel paese sudafricano. Tuttavia l’origine della variante resta ancora incerta, anche a causa della scarsa capacità di sequenziamento della maggior parte dei paesi subsahariani.
La diffusione e sintomi della variante

Al momento non è possibile avere un’idea precisa di quanto sia effettivamente diffusa questa nuova variante anche perché, a parte pochi casi, ancora non ci sono particolari limitazioni di spostamento per i viaggiatori internazionali e intercontinentali, anche se potrebbe essere solo una questione di tempo. Quel che è certo è che in Sudafrica i contagi stanno aumentando molto rapidamente e hanno registrato nella sola giornata di giovedì un incremento del 321% raggiungendo quota 2.465 nuovi casi . Di questi circa il 90% sarebbero attribuibili alla nuova variante. In Europa invece il primo caso è stato individuato ieri in Belgio, mentre in Israele si stanno monitorando due casi sospetti.
Il National Institute for Communicable Diseases (NICD), l’istituto pubblico di riferimento sulle malattie infettive del paese sudafricano, ha comunicato tramite una nota che “attualmente non sono stati riportati sintomi insoliti a seguito dell’infezione con la variante B.1.1.529 e, come con altre varianti, alcuni individui sono asintomatici”
Copertura vaccinale e tamponi

L’Oms ha classificato anche questa variante come “preoccupante”, aggiungendola alla lista delle precedenti quattro mutazioni classificate nello stesso modo: alfa, beta, gamma e delta. Gli scienziati del NICD sudafricano hanno tuttavia dichiarato che “anche qualora possa esserci una fuga immunitaria parziale, è probabile che i vaccini offrano ancora alti livelli di protezione contro il ricovero e la morte”
Per quanto sia ancora troppo presto per poter prevedere gli effetti di questa particolare combinazione, altri scienziati invece hanno espresso maggiore preoccupazione dal momento che il profilo della variante avrebbe diversi tratti genetici sfavorevoli. Quel che è certo è che sono stati registrati alcuni casi di reinfezione che hanno coinvolto persone già vaccinate, anche con la dose booster, e che il virus ha una particolare resistenza alle terapie basate sugli anticorpi monoclonali.
C’è da dire che fino ad ora i vaccini anti-covid, anche a fronte delle varie mutazioni del virus, sono riusciti comunque a garantire protezione rispetto al rischio di ospedalizzazione e di decesso, un fattore che spinge a ritenere che non dovrebbero esserci ragioni particolari per cui la variante Omicron possa riuscire a bucare la copertura vaccinale.
Ci sono invece degli aspetti positivi per quel che riguarda l’identificazione della nuova variante, infatti la delezione all’interno del gene S dovrebbe consentire il monitoraggio continuo indipendentemente dai dati di sequenza disponibili. Resta invariata anche la capacità diagnostica dei test molecolari e di quelli antigenici rapidi.
Il “paziente zero” e l’origine delle varianti

Sono ancora in corso gli studi in merito alla possibile origine della mutazione, ma alcuni scienziati sembrerebbero orientati ad attribuire lo sviluppo della variante omicron ad un’ infezione cronica da parte di un soggetto immunocompromesso, il cui virus (hiv o aids ) non sarebbe stato trattato.
Le persone immunocompromesse infatti, proprio a causa della loro condizione di salute possono ospitare l’infezione anche per diverse settimane, durante le quali il virus ha la possibilità di replicarsi e di subire mutazioni (cosa che però accade anche nei soggetti immunizzati, cosi come nei non vaccinati).
Per arginare la diffusione del virus dunque, non si tratta tanto di trovare il “paziente zero” (cosa alquanto improbabile visti i continui scambi di un mondo globalizzato e sempre più interconnesso), quanto ragionare sul fatto che finché ci saranno intere aree del pianeta dove la copertura vaccinale è pressoché nulla, il virus avrà sempre la possibilità di proliferare e svilupparsi in nuove mutazioni che difficilmente potranno essere confinate solo in quei paesi.