Quirinale, Casini: “Se fossi candidato non perderei un solo voto”

Dopo quasi 40 anni in Parlamento l'ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, continua a tessere la sua tela di relazioni trasversali tra le forze politiche. Un lavoro silenzioso e una rete di rapporti che questa volta potrebbero anche risultare decisivi per la scelta del nuovo Presidente della Repubblica

(Getty Images)

Tra i papabili per l’elezione al Quirinale, oltre al premier Draghi, l’ex cavaliere Silvio  Berlusconi e la guardasigilli Cartabia, c’è un altro nome che suscita particolare interesse tra gli analisti, uno di quelli che si pronunciano sottovoce, senza farsi troppo notare, né sentire: quello di Pier Ferdinando Casini. Democristiano per eccellenza, eletto in parlamento per la prima volta nel 1983, Casini ha rivestito anche la carica di Presidente della Camera dei deputati nel secondo governo Berlusconi e ha presieduto l’Internazionale democristiana per quasi un decennio dal 2006 al 2015.

Si dice sia il candidato preferito da Matteo Renzi, uno che come lui è abituato alle manovre di palazzo e a tessere relazioni un po’ di qua e un po’ di la, per quanto ultimamente il senatore di Scandicci sia forse più bravo a scioglierle che a crearle.

“Esiste una possibilità su duemila che io possa, a un certo punto, essere candidato” ha commentato Casini, “ma se lo fossi, potete stare certi che non perderei nemmeno il voto degli scranni vuoti. Pensare che io sia vittima dei franchi tiratori è un’offesa quasi professionale”. Parole da veterano della politica, di chi sa che anche nel silenzio del voto segreto, tutti in qualche modo possono essere controllati, tutti possono essere convinti.

Il curriculum politico di Pier Ferdinando Casini

Pier Ferdinando Casini, foto da Facebook

Non c’è spazio politico, in maggioranza e all’opposizione, che non sia stato occupato da Casini, dagli anni di Tangentopoli in cui la Dc andava via via dissolvendosi, all’adesione al centrodestra Berlusconiano, passando per l’appoggio al governo Monti, fino all’elezione tra le file del Partito Democratico nel 2018.

L’ex presidente della Camera è abituato a mantenere buoni rapporti con tutti, anche con diversi esponenti grillini, Di Maio e Spadafora su tutti, ma sa relazionarsi  addirittura  con chi considera ideologicamente agli antipodi rispetto alla sua visione del mondo e della politica, come i due leader sovranisti Meloni e Salvini, quest’ultimo salvato anche grazie al suo voto contrario all’autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti nel febbraio 2020.

Quello di Casini in vista dell’elezione del nuovo Capo dello Stato è un lavoro silenzioso, che nel frattempo si dirama in una ragnatela di incontri con tutta una serie di parlamentari nell’attesa che alcuni tra i nodi principali vengano definitivamente sciolti: su tutti, il rifiuto di Mattarella e l’ipotesi Draghi. E poi ancora la questione relativa ai franchi tiratori, una costante dalle parti del Quirinale, come d’altronde l’esperienza di Romano Prodi ha insegnato in modo piuttosto plateale nel 2015.

Una volta definite queste variabili, allora  tutto sarà più chiaro e molto più facilmente potrà anche esserci una mediazione, soprattutto se si dovesse arrivare al quarto scrutinio in cui basterà avere la maggioranza relativa per eleggere il Capo dello Stato.

Nel frattempo “l’ultimo democristiano” non si sbottona, rimane vago, e continua a tessere la sua tela, consapevole del fatto che la strada che porta al Quirinale è sì lastricata di ostacoli, ma che lui, quella strada, quei meccanismi e quelle variabili li conosce tutti a memoria.