Covid e settore dei locali. Una questione aperta ormai da quasi un anno: da quel lockdown di marzo 2020 che, dopo il 10 del mese, impose la chiusura degli esercizi commerciali legati alla ristorazione e, più in generale, alla somministrazione di alimenti e bevande.
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Il Dpcm entrato in vigore il 16 gennaio 2021, valido fino al 5 marzo, introduce un’ulteriore novità: nelle regioni in fascia gialla (Campania, Sardegna, Toscana, Basilicata, Molise, più la provincia autonoma di Trento) i bar potranno restare aperti fino alle 18. Se fino all’inizio di quest’anno era però possibile effettuare asporto dopo quell’ora, oggi quest’opzione è preclusa: tutti gli esercizi commerciali legati alla somministrazione che, in generale, non dispongono di cucina, non possono servire caffè, bevande, alcolici, né alcun altro tipo di prodotto dopo le 18. Semplificando al massimo: per ristoranti e pizzerie sì all’asporto; per bar, cocktail bar, caffetterie: no.

Capita spesso che, dopo le ore 18, chi voglia rilassarsi dopo una giornata di lavoro passi al bar per acquistare un aperitivo e consumarlo poi in compagnia, magari seduto su una panchina in piazza. Per evitare assembramenti di questo tipo, il governo ha quindi deciso di vietare l’asporto. Problema risolto? Le telecamere di Inews24.it raccontano qualcosa di diverso. Anzitutto nelle parole dei gestori, che rilevano un problema elementare di fondo: “Mentre io devo abbassare la serranda, a 10 metri da me un supermercato, una salumeria o un minimarket è libero di vendere lo stesso, identico prodotto”, ci dice Dario D’Avino, proprietario del 2H al Vomero, uno dei quartieri di Napoli a più alto tasso di “movida”.
Centro storico di Napoli: gli assembramenti in piazza
Situazione analoga al centro storico: “Io sto chiuso, e intanto nelle piazze succede la qualunque”, sintetizza Luca Busi, proprietario di ‘O Cafè 42 a piazzetta Nilo, nel cuore della città. “Non avrebbe più senso farmi stare aperto fino alle 21 con servizio ai tavoli, visto che qui rispettiamo le regole a menadito, invece di lasciare la gente ‘libera’ a bere in strada? Così gli assembramenti aumentano, invece di diminuire.” A giudicare da ciò che accade in piazza San Giovanni Maggiore, uno dei luoghi più frequentati del centro storico, queste parole hanno più di un fondamento.
Ore 18:30 circa. Ragazze e ragazzi arrivano per godersi un aperitivo. Quasi tutti senza mascherina, buste del supermercato in mano, tirano fuori bottiglie di vino e di birra appena acquistate. In poco tempo si formano vari capannelli di persone. Scene di vita quotidiana, se non fosse per l’emergenza sanitaria in corso. Persone che, con i bar chiusi, hanno trovato un’alternativa che – secondo il Dpcm da poco approvato – si configura come legittima, dato che nessuna norma preclude il consumo di alcolici in strada.
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A farne le spese quei bar che lavorano soprattutto la sera: “La nostra clientela ormai non esiste – confida Andrea Botte dell’Archeobar di via Mezzocannone, di fronte l’Università Federico II – qui facciamo prevalentemente cocktail. Prima delle 18 chi viene a bersi un Americano o uno Spritz? Noi non chiediamo ristori, perché non ci piace vivere di assistenzialismo. Speriamo solo di poter tornare presto a lavorare.”