Disposti a tutto, anche a lanciarsi da una finestra, perché sicuri che l’organizzazione criminale a cui appartenevano li avrebbe aiutati se ne avessero avuto bisogno. È quanto emerso dalle indagini eseguite dalla polizia, e che hanno permesso di eseguire l’Operazione Underground. È stata smantellata un’organizzazione criminale nigeriana, dedita al traffico di eroina e cocaina, formata da sedici persone, tredici uomini e tre donne. A vario titolo, sono accusati di controllare lo spaccio di droga al dettaglio a Trento. L’operazione è stata eseguita dalla polizia di Trento, con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e la collaborazione degli agenti delle Squadre Mobili di Brescia, Verona e Vicenza.
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I Pusher si sentivano protetti dall’associazione
“Sapete che sono uno spacciatore, ma oggi con me non lavorate”, aveva detto uno dei pusher agli agenti che lo stavano trasferendo in carcere dopo l’arresto in flagranza per spaccio di eroina, avvenuto durante le indagini, a luglio del 2019. L’uomo, secondo gli inquirenti, si era rivolto così ai poliziotti, certo di essere intoccabile, grazie all’organizzazione che lo avrebbe protetto.
Un pusher si era lanciato dalla finestra dell’ospedale
Ma non è l’unico episodio. Lo spregio per la vita in nome dell’organizzazione a cui appartenevano, e la forza del vincolo associativo tra i pusher sarebbero emersi più volte durante le indagini. A novembre del 2019, uno spacciatore ritenuto parte del gruppo, che era uscito da poco dal carcere di Venezia, era stato portato dalla polizia in ospedale per una lastra dopo aver ingerito la droga. Nel tentativo di scappare per non essere nuovamente arrestato, si è lanciato dalla finestra del secondo piano dell’ospedale a dieci metri dal suolo. Ne abbiamo parlato con il dirigente della Squadra Mobile di Trento Tommaso Niglio: “Questo episodio testimonia l’estremo stato di soggezione a cui erano sottoposti questi pusher. L’uomo era stato portato all’ospedale Santa Chiara per una lastra. È stato fortunato, riportando due fratture a livello lombare senza altre complicazioni”.
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Può fare un’analisi dell’organizzazione che avete smantellato?
“L’organizzazione era molto ramificata. In alcune riunioni si decidevano i punti di Trento dove si spacciava. In contemporanea, parte dei proventi da portare a Verona, erano accantonati in una cassa comune, che serviva ad assistere gli arrestati anche sotto il profilo legale. Ciò aveva anche la finalità di impedire loro di sentirsi persi e collaborare con le forze di polizia. L’organizzazione era formata da cittadini nigeriani, e molti pusher erano richiedenti asilo. Vivono in una situazione di estrema debolezza, quindi sono facilmente prede di connazionali con mire criminali molto più ampie”;
Stando alle indagini, a capo dell’organizzazione c’erano una madre e un figlio residenti a Verona, dove gestivano un negozio di prodotti etnici. I pusher erano certi che se fossero finiti in manette, loro li avrebbero aiutati.
“Si sentivano “intoccabili” perché il gruppo era forte e coeso e li proteggeva. Ad esempio, durante i servizi di controllo del territorio, o anche di arresto, un pusher aveva detto ai poliziotti: “Lo sapete che faccio lo spacciatore, ma oggi con me non lavorate”, con un’arroganza che viene dalla consapevolezza che l’organizzazione li avrebbe protetti”;
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Qual è la differenza tra un gruppo di spaccio italiano e uno nigeriano?
“In un gruppo dedito alla droga italiano non c’è lo stesso senso di appartenenza e di impunità. Il concetto di appartenenza non va oltre l’interesse comune per lo spaccio della droga. In un gruppo straniero invece, c’è una componente culturale. È da accertare con eventuali ulteriori sviluppi, se si può parlare di cult nigeriano. Si tratta di organizzazioni mafiose nigeriane che hanno un substrato culturale dettato anche da alcune credenze popolari. La differenza con un’organizzazione italiana quindi, sta proprio nell’appartenenza etnica che determina questa forte compartimentazione e soprattutto impermeabilità”;
Nell’indagine sono coinvolte anche tre donne, ritenute vicine allo sfruttamento della prostituzione nigeriana a Verona.
“Parte dei proventi della prostituzione venivano poi investiti per acquistare la droga. Le prostitute erano nigeriane: tutto si svolge all’interno della loro comunità”;
Cosa porta un migrante giunto in Italia, ad avvicinarsi al mondo della droga?
“Quello che si è ricavato è che alcuni di loro avevano dei debiti contratti in Nigeria con le organizzazioni che li avevano arrivare clandestinamente in Italia”.