Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino, ucciso da Cosa Nostra nel 1992, dice la sua sulla polemica nata nelle ultime ore su Labellamafia. Si tratta di un brand brasiliano di abbigliamento sportivo con un e-commerce e un profilo Instagram che conta 817mila follower. L’aver utilizzato il nome della mafia per scopi commerciali ha scatenato l’indignazione di Antonio Ferrante, presidente della direzione regionale del Pd Sicilia e anche Valter Mazzetti, segretario Generale della Federazione Sindacale della polizia di Stato (Fsp).
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Un caso simile alla pizzeria “Falcone e Borsellino” di Francoforte. Maria Falcone, sorella del magistrato, si era rivolta alla giustizia contro il nome del locale. La Corte della città tedesca però, aveva respinto l’istanza. I proprietari della pizzeria hanno rinunciato al nome in seguito alle critiche ricevute.
Cosa pensa di un brand che porta il nome Labellamafia?
“Quelle come questa sono sicuramente cose da condannare. Mi amareggiano a tal punto che cerco di non starci dietro perché purtroppo avvengono e continueranno ad avvenire. Come il caso della pizzeria tedesca: il tribunale (di Francoforte ndr.) si è rifiutato di tutelare la memoria di Falcone e Borsellino perché i loro nomi non sarebbero noti all’esterno dell’Italia”;
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Non crede però, che ci sia una sottocultura di fondo che va contrastata?
“Questa sottocultura viene favorita anche dai mezzi di informazione o da prodotti come ad esempio Il Padrino che hanno avuto tutto quel successo. Purtroppo la mafia viene vista come qualcosa di folkloristico, invece di dare messaggi diversi. Se succede in televisione, come possono non nascere iniziative come questa? Vada a guardare sui social quanti seguaci ha il figlio di Totò Riina…”;
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Anche questo brand conta 817mila follower
“Certo, il nome della mafia tira e loro lo utilizzano. Viviamo in un Paese in cui nessun governo si è mai impegnato veramente nella lotta alla mafia. Mi dica un governo che negli ultimi cinquant’anni ha affrontato la lotta alla criminalità. Eppure non è un problema solo dell’Italia, ma del mondo intero”;
Cosa, secondo lei, non hanno fatto i governi che si sono succeduti, per sconfiggere definitivamente le mafie?
“Non hanno fatto assolutamente nulla. La mafia viene combattuta veramente dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. A parole sono tutti bravi, anche nelle commemorazioni. Ma non è mai stato messo al primo posto tra gli impegni, un provvedimento serio dal punto di vista della finanza, del conflitto di interessi, della criminalità nelle istituzioni o degli appalti. Non c’è mai stata un’iniziativa veramente seria”;
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C’è la parte sana della società, che denuncia i soprusi e contribuisce, nel suo piccolo, al lavoro di forze dell’ordine e magistratura, per amore della propria terra, la Sicilia, ma anche del resto d’Italia. Sono cittadini, imprenditori, associazioni…
“Sa che fine fanno i testimoni di giustizia in Italia? Hanno la vita rovinata, perché vengono protetti dallo Stato solo a parole. Chi ha denunciato le mafie ha avuto le attività (imprenditoriali ndr.) distrutte. Lo Stato potrebbe fare qualcosa per loro e invece in questo Paese non si distingue nemmeno tra i testimoni e i collaboratori di giustizia. I secondi sono mafiosi che collaborano per avere sconti di pena e in alcuni casi si pentono. I primi invece, sono persone perbene che decidono di aiutare le forze dell’ordine e invece vengono lasciati soli. Perdono la clientela e non vengono tutelati a sufficienza dallo Stato”.