“Se fosse vero, sarebbe vergognoso”. Sono le parole di Giuseppe Bruno, quarantaquattro anni, figlio di Elisabetta e Salvatore, vittime della strage del bus di Avellino avvenuta il 28 luglio 2013. Lo abbiamo intervistato dopo la notizia che Paolo Berti, direttore delle Operazioni centrali di Aspi all’epoca del crollo del Ponte Morandi di Genova, avrebbe mentito al processo sulla strage del bus sull’autostrada A16 Napoli – Canosa.
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Secondo le intercettazioni, “Paolo Berti avrebbe mentito al processo sulla strage del bus sull’A16″
Secondo gli inquirenti avrebbe dichiarato il falso per coprire il suo superiore Giovanni Castellucci – che è stato assolto – in cambio di uno scatto di carriera e di un aumento di stipendio. Questa rivelazione sarebbe emersa dall’inchiesta della Procura di Genova sulle barriere fonoassorbenti che l’11 novembre ha portato agli arresti domiciliari Paolo Berti, anche l’ex ad di Aspi e Atlantia, Giovanni Castellucci e di Michele Donferri Mitelli.
Sulla strage del bus precipitato nel viadotto Acqualonga dell’A16, Berti è stato condannato dal Tribunale di Avellino a cinque anni e dieci mesi, mentre Castellucci era stato assolto proprio grazie alla sua testimonianza. La magistratura farà il suo corso per accertare o smentire i fatti. Intanto Giuseppe e gli altri familiari delle trentotto vittime chiedono giustizia per i propri cari.
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Giuseppe, se fosse vero quanto emerso dall’inchiesta, cosa sentirebbe di dire a Berti?
“L’ho avuto tante volte davanti. Ricordo di quando rideva e scherzava con altre persone una volta che l’ho incontrato al bar. Avevo con me le foto delle vittime della strage del bus e gliele ho mostrate, l’ho incolpato: “Osserva, sono morte molte persone”, gli dissi. Se lo incontrassi oggi, gli direi la stessa cosa. Insieme a me ci sono tante altre persone che hanno perso un familiare e vogliamo giustizia”;
E se l’ipotesi accusatoria si rivelasse vera?
“Se fosse vero, sarebbe vergognoso. Questa situazione mi disorienta e disorienta anche gli altri familiari delle vittime”;
Insieme agli altri avete costituito l’Associazione Vittime della Strada – Uniti per la Vita…
“Circa otto o nove mesi dopo la tragedia, non riuscivo a dormire la notte. Ho sentito l’esigenza di raccogliere quante più testimonianze possibili e mettermi in contatto con chi stava vivendo il mio stesso dolore. Insieme riusciamo a capirci e stiamo portando avanti una battaglia affinché tutte le autostrade d’Italia siano messe in sicurezza”;
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Qual è il messaggio che volete condividere?
“Vogliamo giustizia per i nostri cari. È un anno che aspettiamo l’Appello, che forse si terrà agli inizi di gennaio. Finora non abbiamo visto nessuno in carcere. E chiediamo anche che tutta la rete autostradale italiana sia messa in sicurezza. Noi paghiamo il pedaggio e una percentuale sui servizi offerti, ma dove finiscono i nostri soldi? Tutto ciò che paghiamo dovrebbe essere reinvestito per la manutenzione”;
Non è cambiato nulla da quel tragico 2013?
“Certo, qualcosa è cambiato dalla strage del bus sull’A16. Anche in politica, sembra che si muova qualcosa e che ci sia più sensibilità sulla sicurezza autostradale”;
Le va di raccontare il suo 28 luglio 2013?
“Lo ricordo come se fosse oggi. Tornavo dalle vacanze in Sardegna con mia moglie e mio figlio. Mia madre mi telefonò per avvisarmi che lei e mio padre sarebbero partiti per un weekend a Telese insieme a un gruppo di persone e sarebbero tornati la domenica sera. Mio figlio aveva voglia di salutare la nonna quando sarebbe tornata. Durante il pomeriggio mi avvisarono di un incidente avvenuto sull’A16. Preoccupato, comincio a fare un giro di telefonate, fino a che non mi confermano che mia madre e mio padre erano nel bus. Arrivai sul posto a mezzanotte e c’erano il bus ribaltato, i vigili del fuoco, tanti corpo coperti. Tremavo. I corpi vennero spostati in una palestra e fu lì che alle 5 di mattina riconobbi i miei genitori. Mia madre era ricoperta di vetro, aveva gli occhiali di papà sul torace e l’addome gonfio. Mio padre invece aveva une ferita alla fronte, una alla testa e una al braccio sinistro. Anche lui era ricoperto di vetro e sangue. Attorno a me c’erano corpi straziati. Quando li riportammo a Pozzuoli, dove viviamo ancora oggi, tante persone vollero salutare mamma e papà, ma io mi sentivo come su un altro pianeta. Dopo due o tre giorni mi addormentai sul divano per qualche ora e quando mi svegliai chiesi a mia moglie se i miei genitori fossero tornati dal viaggio. Avevo azzerato tutto, sembrava un brutto sogno, ma purtroppo era tutto vero”.